di Tariq Ramadan
Solo, con l'umanità
Corriamo il rischio di non appartenerci. Quando l'avere prevale sull'essere che sembra diventata l'unica condizione necessaria al benessere, quando la velocità dell'informazione è più importante della sua analisi, quando l'immagine prevale sulla parola e quando il progresso diviene fine a se stesso allora diventa difficile vivere la propria fede, gestire la propria spiritualità, determinare i propri bisogni, le proprie priorità e definire i propri limiti.
Difficile essere un essere umano, difficile essere libero. Intendo libero, pensando alla vera libertà, quando lo spirito fa le sue scelte insieme al cuore, grazie alla meditazione all'intelligenza alle speranze.
Solo
L'Islam è una scuola. Ha un obiettivo e un programma un quadro e una dinamica, delle esigenze e una valutazione necessariamente formativa. Il suo primo principio si fonda sull'imperativo di libertà di colui che si forma. L'uomo essere di coscienza e responsabilità. L'Islam dice una verità e si sostiene su un sentimento: tutto comincia con la solitudine davanti a Dio. Il primo spazio di formazione, di costruzione, di resistenza, di riforma e di libertà è il cuore cosi naturalmente attirato verso il trascendente così disturbato dall'artificialità e dalla superficialità.
Non c'è fede senza libertà, non c'è libertà senza il pieno controllo del proprio essere, del cuore dello spirito. Il nostro mondo e i suoi poteri, la tecnologia e la sua efficacia, le mode e la velocità ci incatenano e ci smarriscono. Un essere umano che vive sulla superficie dei suoi desideri, e di bisogni che sono in gran parte indotti, non è più un essere umano, può benissimo diventare una bestia che mantiene l'illusione della propria umanità. Se la razionalità è umana, il mostro è domato ma se non è altro che razionalità economica o finanziaria allora la bestia è senza catene e promette il peggio, carneficine e genocidio. Noi l'abbiamo già constatato.
La nostra religione ci insegna che la prima resistenza a queste derive è interiore. Con Dio, nell'approfondimento della fede, nella comprensione nella ponderazione. Nella preghiera e nella meditazione, bisogna prendersi il tempo di conoscersi e di riconoscersi, di resistere alle proprie violenze, le proprie collere, alla propria volontà di potere. Nello stesso modo il suo cuore deve diventare un corso nel quale apprende il suo spirito a studiare ad approfondire ad allontanarsi dai pregiudizi, a evitare le caricature. La luce del cuore è una delle condizioni per orientarsi nelle profondità dello spirito. Dona la forza di rispondere al primo dovere di resistenza che ci abita, contro i poteri arbitrari, contro i falsi idoli, contro la seducente dittatura dei nostri desideri, proteggere la luce del proprio cuore, costruire l'autonomia del proprio spirito, rivendicare il diritto di scegliere in coscienza il proprio cammino e il senso della propria vita. Davanti a Dio, solo, cosciente e responsabile.
Decolonizzazione
La prima resistenza necessaria è oggi un'impresa di decolonizzazione. Si tratta per ogni musulmana e ogni musulmano di ritrovare il cammino del suo essere più profondo, di ritornare un essere libero. La vita quotidiana in Europa, con i modi di pensare e di consumare, l'organizzazione della produzione e del lavoro e quella del tempo libero, la cultura cinematografica e musicale, costruiscono una seconda natura che assomiglia a una prigione. Bisogna riuscire a fuggire, la spiritualità profonda è la chiave.
Esiste un altro spazio che dobbiamo decolonizzare oltre al nostro cuore, la nostra intelligenza. Mai tanto come oggi, l'informazione si trova concentrata in così poche mani. Poche imprese e agenzie gestiscono ormai lo strumento mediatico come un'industria, “ un affare che funziona”. Tutto succede come se il tono dell'elaborazione intellettuale, del dibattito di società o delle sfide politiche fosse ormai creato dai media stessi e attraverso i media, grazie al supporto essenziale dell'immagine.
La televisione non è più un semplice mezzo, è diventata un parametro, una scala, quasi un valore di fronte al quale, gli altri valori ed i riferimenti si misurano. Resistere a questo tormento dell'immagine e della velocità è oggi un imperativo: i musulmani come tutti i cittadini devono imparare nuovamente a pensare ad analizzare a dibattere. La Shura, la concertazione alla quale li invita la propria religione, necessita di coloro che formano la propria intelligenza e elaborano la propria riflessione, in profondità con precisione. Non è sufficiente dirsi musulmano per essere protetto dalle caricature e dalle semplificazioni: la comunità musulmana non è da meno per quanto riguarda la formulazione di caricature. L'Islam esige di liberare il nostro spirito e di vivificare le nostre intelligenze, resistenza intellettuale attiva che dovrebbe essere la conseguenza naturale di una fede radicata e di una spiritualità fiorita.
Economia, Politica e Società
Gli ordini sono stati invertiti e ogni giorno il primato dell'economia nella gestione degli affari internazionali come nella gestione delle società. L'etica e la morale non sono, si sa , le parole d'ordine di questo tipo di gestione e ciò che conta ormai è il rendimento, l'efficacia, il grado di subordinazione alle logiche del nuovo ordine economico. Le disfunzioni politiche o le cattive gestioni sociali sono relativizzate in funzione dei profitti finanziari che esse permettono: una dittatura che “rende” ( in materia economica o sul piano geo-strategico) non è più considerata come tale e il criterio di una buona politica si misura essenzialmente attraverso la sua capacità di proteggere gli interessi di coloro che la applicano. Le alienazioni rispetto al senso originario e primo si moltiplicano e si aggiungono. L'economia, che dovrebbe essere uno strumento al servizio di una politica è divenuto una finalità in se; la società dei cittadini che doveva essere il fine, è diventato un mezzo uno semplice strumento. Nel cuore del nuovo ordine economico, l'essere umano, una volta soggetto della sua Storia, ha la strana sensazione di essere diventato un oggetto, un mezzo un giocattolo.
Per le musulmane e i musulmani, c'è bisogno di rimettere le cose al loro posto, nel loro giusto ordine. L'uomo davanti al Creatore, ritorni ad essere un fine e non un mezzo. Bisogna reinvestire con i cuori e con le intelligenze tutte le sfere nelle quali questo cambiamento si può operare. Sul piano sociale, il dovere di resistenza comincia con il chiaro rifiuto del fatto che società industrializzate creino milioni di disoccupati e altri milioni di esclusi.
La questione non riguarda solo i semplici mezzi finanziari, ma della subdola difesa degli interessi di pochi e dell'assenza di volontà politica. Questo significa che è necessario impegnarsi nei progetti locali, progetti di prossimità per i quali dobbiamo lottare contro la disoccupazione, l'esclusione la marginalità e l'insieme delle fratture sociali. Questo rifiuto non può esprimersi come spesso capita tra i musulmani attraverso la sola realizzazione di progetti fondati sulla carità o la solidarietà. La giustizia è un diritto, non un regalo ne un'elemosina.
Infine la resistenza passa inevitabilmente attraverso l'impegno cittadino in politica. Rifiutare i favoritismi, esigere che le volontà politiche siano chiare e trasparenti, chiedere conto contestare le scelte di politica sociale, sono tutti atteggiamenti che devono permettere ai cittadini musulmani di partecipare insieme agli altri a riformare le proprie società. A tutti i livelli, si richiedono iniziative che permettano modelli economici alternativi e soprattutto un ritorno della politica alla sua vera vocazione fondata sul dibattito e sulla partecipazione cittadina. Per i musulmani come per tutti gli esseri umani non c'è resistenza senza partecipazione.
Riprendere possesso del proprio cuore, costruire la propria intelligenza e impegnarsi a promuovere dei progetti alternativi di prossimità sono manifestazioni di quel dovere di resistenza che è nostro. Non ci dimenticheremo nemmeno che la giustizia esige da noi che nel cuore dell'Europa diventiamo voci che non hanno paura di denunciare le dittature, le torture le ipocrisie e le derive disumane che siano o meno perpetrate nel nome dell'Islam.
Quando il silenzio complice soffoca la nostra dignità e la denuncia, l'imprigionamento di tanti innocenti potrebbe finire per renderci colpevoli di gestire cosi male le nostre libertà. Nessun interesse economico può giustificare il nostro silenzio. O è la paura? la pigrizia? La nostra comodità?
Cosa diremo noi il giorno in cui non ci sarà ombra se non la Sua ombra? Abbiamo temuto per la nostra vita? Che non si poteva? Che eravamo soli? Quando in ognuna delle sue pagine la Rivelazione ci ricorda che Dio ama i pii che pregano quanto i giusti che resistono. Inoltre non siamo soli e tante altre coscienze credono nella stessa lotta nella stessa resistenza. Dio esige da noi fedeltà e la nostra fede ci chiede dignità. Il dovere di resistenza è l'esatta realizzazione di questa fedeltà degna, cosciente che non si è mai più vicini a Dio che quando si lotta contro la disumanità degli uomini. Con il cuore e in nome della giustizia.