Il dovere della resistenza

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di Tariq Ramadan 


Solo, con l'umanità

Corriamo il rischio di non appartenerci. Quando l'avere prevale sull'essere che sembra diventata l'unica condizione necessaria al benessere, quando la velocità dell'informazione è più importante della sua analisi, quando l'immagine prevale sulla parola e quando il progresso diviene fine a se stesso allora diventa difficile vivere la propria fede, gestire la propria spiritualità, determinare i propri bisogni, le proprie priorità e definire i propri limiti.
Difficile essere un essere umano, difficile essere libero. Intendo libero, pensando alla vera libertà, quando lo spirito fa le sue scelte insieme al cuore, grazie alla meditazione all'intelligenza alle speranze.

Solo

L'Islam è una scuola. Ha un obiettivo e un programma un quadro e una dinamica, delle esigenze e una valutazione necessariamente formativa. Il suo primo principio si fonda sull'imperativo di libertà di colui che si forma. L'uomo essere di coscienza e responsabilità. L'Islam dice una verità e si sostiene su un sentimento: tutto comincia con la solitudine davanti a Dio. Il primo spazio di formazione, di costruzione, di resistenza, di riforma e di libertà è il cuore cosi naturalmente attirato verso il trascendente così disturbato dall'artificialità e dalla superficialità.

Non c'è fede senza libertà, non c'è libertà senza il pieno controllo del proprio essere, del cuore dello spirito. Il nostro mondo e i suoi poteri, la tecnologia e la sua efficacia, le mode e la velocità ci incatenano e ci smarriscono. Un essere umano che vive sulla superficie dei suoi desideri, e di bisogni che sono in gran parte indotti, non è più un essere umano, può benissimo diventare una bestia che mantiene l'illusione della propria umanità. Se la razionalità è umana, il mostro è domato ma se non è altro che razionalità economica o finanziaria allora la bestia è senza catene e promette il peggio, carneficine e genocidio. Noi l'abbiamo già constatato.

La nostra religione ci insegna che la prima resistenza a queste derive è interiore. Con Dio, nell'approfondimento della fede, nella comprensione nella ponderazione. Nella preghiera e nella meditazione, bisogna prendersi il tempo di conoscersi e di riconoscersi, di resistere alle proprie violenze, le proprie collere, alla propria volontà di potere. Nello stesso modo il suo cuore deve diventare un corso nel quale apprende il suo spirito a studiare ad approfondire ad allontanarsi dai pregiudizi, a evitare le caricature. La luce del cuore è una delle condizioni per orientarsi nelle profondità dello spirito. Dona la forza di rispondere al primo dovere di resistenza che ci abita, contro i poteri arbitrari, contro i falsi idoli, contro la seducente dittatura dei nostri desideri, proteggere la luce del proprio cuore, costruire l'autonomia del proprio spirito, rivendicare il diritto di scegliere in coscienza il proprio cammino e il senso della propria vita. Davanti a Dio, solo, cosciente e responsabile.

Decolonizzazione

La prima resistenza necessaria è oggi un'impresa di decolonizzazione. Si tratta per ogni musulmana e ogni musulmano di ritrovare il cammino del suo essere più profondo, di ritornare un essere libero. La vita quotidiana in Europa, con i modi di pensare e di consumare, l'organizzazione della produzione e del lavoro e quella del tempo libero, la cultura cinematografica e musicale, costruiscono una seconda natura che assomiglia a una prigione. Bisogna riuscire a fuggire, la spiritualità profonda è la chiave.
Esiste un altro spazio che dobbiamo decolonizzare oltre al nostro cuore, la nostra intelligenza. Mai tanto come oggi, l'informazione si trova concentrata in così poche mani. Poche imprese e agenzie gestiscono ormai lo strumento mediatico come un'industria, “ un affare che funziona”. Tutto succede come se il tono dell'elaborazione intellettuale, del dibattito di società o delle sfide politiche fosse ormai creato dai media stessi e attraverso i media, grazie al supporto essenziale dell'immagine.

La televisione non è più un semplice mezzo, è diventata un parametro, una scala, quasi un valore di fronte al quale, gli altri valori ed i riferimenti si misurano. Resistere a questo tormento dell'immagine e della velocità è oggi un imperativo: i musulmani come tutti i cittadini devono imparare nuovamente a pensare ad analizzare a dibattere. La Shura, la concertazione alla quale li invita la propria religione, necessita di coloro che formano la propria intelligenza e elaborano la propria riflessione, in profondità con precisione. Non è sufficiente dirsi musulmano per essere protetto dalle caricature e dalle semplificazioni: la comunità musulmana non è da meno per quanto riguarda la formulazione di caricature. L'Islam esige di liberare il nostro spirito e di vivificare le nostre intelligenze, resistenza intellettuale attiva che dovrebbe essere la conseguenza naturale di una fede radicata e di una spiritualità fiorita.

Economia, Politica e Società

Gli ordini sono stati invertiti e ogni giorno il primato dell'economia nella gestione degli affari internazionali come nella gestione delle società. L'etica e la morale non sono, si sa , le parole d'ordine di questo tipo di gestione e ciò che conta ormai è il rendimento, l'efficacia, il grado di subordinazione alle logiche del nuovo ordine economico. Le disfunzioni politiche o le cattive gestioni sociali sono relativizzate in funzione dei profitti finanziari che esse permettono: una dittatura che “rende” ( in materia economica o sul piano geo-strategico) non è più considerata come tale e il criterio di una buona politica si misura essenzialmente attraverso la sua capacità di proteggere gli interessi di coloro che la applicano. Le alienazioni rispetto al senso originario e primo si moltiplicano e si aggiungono. L'economia, che dovrebbe essere uno strumento al servizio di una politica è divenuto una finalità in se; la società dei cittadini che doveva essere il fine, è diventato un mezzo uno semplice strumento. Nel cuore del nuovo ordine economico, l'essere umano, una volta soggetto della sua Storia, ha la strana sensazione di essere diventato un oggetto, un mezzo un giocattolo.

Per le musulmane e i musulmani, c'è bisogno di rimettere le cose al loro posto, nel loro giusto ordine. L'uomo davanti al Creatore, ritorni ad essere un fine e non un mezzo. Bisogna reinvestire con i cuori e con le intelligenze tutte le sfere nelle quali questo cambiamento si può operare. Sul piano sociale, il dovere di resistenza comincia con il chiaro rifiuto del fatto che società industrializzate creino milioni di disoccupati e altri milioni di esclusi.

La questione non riguarda solo i semplici mezzi finanziari, ma della subdola difesa degli interessi di pochi e dell'assenza di volontà politica. Questo significa che è necessario impegnarsi nei progetti locali, progetti di prossimità per i quali dobbiamo lottare contro la disoccupazione, l'esclusione la marginalità e l'insieme delle fratture sociali. Questo rifiuto non può esprimersi come spesso capita tra i musulmani attraverso la sola realizzazione di progetti fondati sulla carità o la solidarietà. La giustizia è un diritto, non un regalo ne un'elemosina.

Infine la resistenza passa inevitabilmente attraverso l'impegno cittadino in politica. Rifiutare i favoritismi, esigere che le volontà politiche siano chiare e trasparenti, chiedere conto contestare le scelte di politica sociale, sono tutti atteggiamenti che devono permettere ai cittadini musulmani di partecipare insieme agli altri a riformare le proprie società. A tutti i livelli, si richiedono iniziative che permettano modelli economici alternativi e soprattutto un ritorno della politica alla sua vera vocazione fondata sul dibattito e sulla partecipazione cittadina. Per i musulmani come per tutti gli esseri umani non c'è resistenza senza partecipazione.
Riprendere possesso del proprio cuore, costruire la propria intelligenza e impegnarsi a promuovere dei progetti alternativi di prossimità sono manifestazioni di quel dovere di resistenza che è nostro. Non ci dimenticheremo nemmeno che la giustizia esige da noi che nel cuore dell'Europa diventiamo voci che non hanno paura di denunciare le dittature, le torture le ipocrisie e le derive disumane che siano o meno perpetrate nel nome dell'Islam.

Quando il silenzio complice soffoca la nostra dignità e la denuncia, l'imprigionamento di tanti innocenti potrebbe finire per renderci colpevoli di gestire cosi male le nostre libertà. Nessun interesse economico può giustificare il nostro silenzio. O è la paura? la pigrizia? La nostra comodità?
Cosa diremo noi il giorno in cui non ci sarà ombra se non la Sua ombra? Abbiamo temuto per la nostra vita? Che non si poteva? Che eravamo soli? Quando in ognuna delle sue pagine la Rivelazione ci ricorda che Dio ama i pii che pregano quanto i giusti che resistono. Inoltre non siamo soli e tante altre coscienze credono nella stessa lotta nella stessa resistenza. Dio esige da noi fedeltà e la nostra fede ci chiede dignità. Il dovere di resistenza è l'esatta realizzazione di questa fedeltà degna, cosciente che non si è mai più vicini a Dio che quando si lotta contro la disumanità degli uomini. Con il cuore e in nome della giustizia.

Sharia, potere e societá civile

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di Tariq Ramadan 

Tratto da:  "La Riforma Radicale"

Nell'universo di riferimento islamico, come abbiamo potuto constatare lungo il nostro studio, la riflessione sulla legge occupa un posto centrale. I fuqaha ed i giuristi hanno perfino ridotto la shari'a, secondo la loro specializzazione, a un corpus di leggi da applicare: d'altra parte, presso musulmani e non , è frequente leggere o udire la parola shari'a utilizzata unicamente col significato di "legge islamica". L'attribuzione di questo significato e di questa traduzione non è banale e svela una di quelle riduzioni che si sono verificate nel mondo musulmano attraverso i secoli.

Il processo ricorda quello che abbiamo mostrato nelle diverse tappe dell'evoluzione della scienza dei fondamenti del diritto e della giurisprudenza (usul al fiqh): una fissazione sui Testi che nasce da un'atteggiamento doppiamente difensivo di fronte all'evoluzione della societá e alla dominazione dell'altro. Il fenomeno è iniziato molto presto, come abbiamo visto con la reazione di Ash-Shafi'i nel momento in cui scrive la sua Al Risala. In origine, anche i sapienti, che erano, per disposizione naturale, vicini alla lettera dei testi, integravano l'ambiente ( al-waqi') e interesse comune ( al maslaha) delle pololazioni alla loro comprensione della legge e alla conseguente formulazione dei loro pareri giuridic ( Fatawa). Il senso degli obiettivi superiori della Via era naturalmente accordato all'inserimento non meno naturale dell'ambiente sociale e umano nella riflessione giuridica. Con il passare del tempo, la percezione del rischio che i principi venissero trascurati ha fatto si che il senso della fedeltá alle finalitá superiori del messaggio ( nella fiducia) fosse sostituito dal senso della fedeltá alla lettera dei testi ( nel timore). As-Shari'a che era stata la Via secondo cui era pensata l'applicazione delle leggi nel tempo e a seconda dei contesti, si riduceva ormai a un corpus di leggi da applicare in modo formale cosi com'era. Queste leggi diventavano e sono spesso diventate, nella loro formalizzazione, il segno esclusivo che permette di identificare il carattere "islamico" di un progetto collettivo. Come si vede, l'interpretazione e la traduzione della parola rivelano riduzioni dalle conseguenza problematiche. 

Il ritorno alle finalitá e agli obiettivi superiori ci impone di affrontare la questione della Via e delle leggi in un'ottica necessariamente piú globale, poichè ciò che conta in fondo, è collegare il rispetto delle finalitá etiche ( Maqasid) allo stato reale delle societá e dell'ambiente umano così da pensare in modo realistico e coerente il rapporto con le leggi e la legislazione in generale . Abbiamo messo in evidenza un certo numero di finalitá superiori che era possibile trarre dai testi: Il bene l'interesse comune della gente ( al masalih), il rispetto della vita, della pace (e della pace sociale) in particolare, per quanto ci riguarda), della dignitá,  del benessere, della conoscenza, dell'uguaglianza, della libertá, della giustizia e della solidarietá sono principi che costituiscono le fondamenta dell'etica islamica a cui vanno aggiunti obiettivi piú specifici come la garanzia dell'istruzione, la protezione della salute la sussistenza, il lavoro, i beni, i contratti, il vicinato e, su un piano sociale e collettivo, la promozione dello stato di diritto, della deliberazione, del pluralismo delle religioni, delle culture e delle memorie, dell'evoluzione naturale della societá e infine, dell'indipendenza delle nazioni. Questa lunga lista di finalitá superiori deve accompagnare in modo rigoroso la riflessione sul progetto sociale e politico; un progetto che essa ispira, ma di cui non determina alcuna forma prestabilita ne alcun modello. L'osservazione è importante: l'approccio attraverso el finalitá superiori ci impone ancora una volta di distinguere tra finalitá e principi universali da una parte e modelli storici dall'altra. Questi ultimi, così come l'esperienza profetica di Medina, furono modelli di applicazione delle finalitá in un momento preciso della Storia, ma dato che questa evolve bisogna necessariamente che i modelli si trasformino allo stesso modo. Il rapporto con le finalitá etiche e la ricerca di agire con coerenza impediscono che si idealizzi il passato sacralizzando il pensiero degli Ulema ed evitando l'immobilismo in materia sociale e politica. Si tratta chiaramente di un invito alla ragione critica perchè rimanga sempre vigile sui tradimenti e le distorsioni possibili a cui possono essere sottoposti gli ideali e perchè sia, al tempo stesso, creativa nelle soluzioni o nei modelli storici da realizzare.

Per decenni, abbiamo assistito a vivaci dibattiti tra sapienti pensatori e politici circa l'opportunitá di riferirsi al termine " democrazia" come modello di organizzazione politica per le societá a maggioranza musulmana. Alcuni rifiutavano il termine considerandolo come occidentale, altri vi vedevano una distorsione essenziale del rapporto con il "potere divino" ( Al Hakimyya lil-lah), altri ancora volevano aggiungervi una qualificazione e parlare di "democrazia islamica"; altri, infine, accettavano di fare riferimento alla suddetta nozione senza vedervi alcuna contraddizione con i principi islalmici. Negli ultimi anni i sostenitori di questa posizione sono considerevolmente aumentati ma restano pur sempre leader o movimenti che si oppongono all'utilizzo del concetto in nome di una certa idea di applicazione della Sharia'a. Questo è davvero il nocciolo della questione.

La disputa su questo concetto e sul suo utilizzo mette in evidenza la duplice riduzione operata nei dibattiti: una comprensione delle leggi scollegata dalle finalitá superiori e una associazione di queste leggi a un modello storico preciso. Il pensiero musulmano contemporaneo fatica a uscire dal formalismo e/o dall'immobilismo. Lo studio delle finalitá superiori dell'etica e la loro possibile categorizzazione sul piano del progetto sociale e politico mettono in evidenza cinque principi fondatori che, nella loro diversitá, sono gli stessi sottesi ai modelli democratici: Stato di diritto, cittadinanza egualitaria, suffragio universale, delegazione contrallata e misurata del potere ( secondo l'espressione inglese: accountability) e separazione dei poteri. Alla luce di questi principi e di queste finalitá superiori, le societá a maggioranza musulmana dovrebbero entrare in un processo di democratizzazione che consideri l'applicazione delle leggi in funzione degli obiettivi e soprattutto che adatti il modello al contempo alle finalitá e alla situazione ambientale sociale e umana. Si tratta di avviare un processo globale che tenga conto dell'insieme delle finalitá etiche che devono essere rispettate. In altri termini, il processo di democratizzazione deve generare una propria analisi critica e costruttiva sulle mancanze dei modelli democratici contemporanei nella realizzazione dei loro ideali. Non si puó pensare di utilizzare un concetto senza criterio e di imitare ciecamente dei modelli senza intraprendere, in nome dell'etica stessa che ci invita a impegnarci in un processo di riforma sociale e politica, uno studio critico delle contraddizioni , delle incoerenze e delle mancanze dei modelli democratici contemporanei. 

Torneremo piú avanti su queste essenziali questioni, ma si intuisce fin d'ora la natura della riflessione che ci aspettiamo e che esigiamo da parte dei fuqaha, dei pensatori e dei politici. Si tratta nei fatti, di una riforma non di adattamento, ma di trasformazione radicale. E la societá civile, quella delle donne e degli uomini che dovrá risvegliarsi e spingere i consigli giuridici e gli intellettuali a fornire risposte globali, ma preziose e coerenti alle loro domande sociali, culturali, economiche e politiche. Attraverso il suo impegno e le sue leggittime  rivendicazioni, la popolazione deve trasmettere il potere all'autoritá a cui ha diritto. Il centro di gravitá di quest'ultima, che noi vogliamo spostare, passa anche, e soprattutto, attraverso un nuovo impegno concreto delle donne e degli uomini comuni a una riflessione critica ed esigente, ad una ricerca collettiva e pratica delle soluzioni. È questo uno degli aspetti della crisi che constatiamo oggi nell'universo di riferimento islamico con i suoi riflessi di formalismo difensivo e ossessionato dall'alteritá, mentre bisognerebbe avviare un movimento di riforma fiducioso, universalista, assolutamente inclusivo e positivamente offensivo. 

Riflessioni sull "Islam moderato"

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di Ahlam El Karouni


Quest’articolo prenderà in considerazione l’argomento dell’islam moderato sotto diversi punti di vista.
Il termine islam moderato è un termine che designa un concetto errato per diverse ragioni. La prima ragione è di tipo logico-intellettuale, che mostra come questo accostamento di termini indichi qualcosa di inesistente nell’islam ma che è stato inventato appositamente per scopi che spiegheremo in seguito.
È errante parlare di islam moderato perché il concetto di moderazione, se aggiunto ad un’idea oppure ad un concetto in generale come in questo caso all’islam, sta ad indicare che quel stesso concetto è in se “non moderato”, altrimenti –logicamente- non si dovrebbe aggiungere l’aggettivo “moderato”. In altre parole quando usiamo l’espressione “islam moderato” stiamo assumendo la posizione secondo cui l’islam in se non lo è, l’accezione del moderato sta proprio ad indicare la modifica del primo concetto, islam, in un altro concetto, ossia islam moderato, che diventano perciò due entità diverse.
Il concetto di moderazione è un concetto esistente nell’islam, ma si tratta di un concetto interno ad esso, non esterno, ossia non c’è nessun parametro esterno o nessuna ideologia esterna all’islam che definisce che cosa sia la moderazione e poi la applica all’islam ma è l’islam stesso che include un concetto di moderazione, espresso da Allah nella sua rivelazione e spiegato dal suo Messaggero negli ahadith. Questo punto, anche se può sembrare astratto o banale, costituisce un passaggio di estrema importanza, poiché diventa una base di pensiero e conseguentemente di giudizio.
Detto questo passeremo a spiegare il concetto di moderazione nell’islam e il concetto di moderazione inteso da alcuni studiosi occidentali, la cui posizione è condivisa anche da alcuni intellettuali arabi e musulmani, per mostrare come le due visioni siamo incompatibili e come di conseguenza il concetto di islam moderato sia un concetto sbagliato.
Ci sono diversi termini in arabo che significano “estremismo”. Il termine al-mughaalaah (estremismo) oppure ghulou (eccesso) significano accrescere, esagerare. Mughaalah nella religiosità è la rigidità nell’eccedere il limite ordinato e voluto da Sharia. Esso è definito anche ifraat. In contrasto alla mughaalaah c’è il tafrit (negligenza), deriva dal verbo farrata che significa rimanere indietro, trascurare e mostrare debolezza, tafrit nella religione significa quindi negligenza, trascuratezza, noncuranza delle regole e mostrare debolezza nell’eseguire i propri doveri religiosi. Da ciò deriva infatti l’affermazione “‘laa ifraat wa laa tafrit fil islam”, intendendo con questo che non c’è ne eccesso ne negligenza nell’islam. Per quanto riguarda “iqtisad” (posizione di mediazione), si tratta di tawassut (posizione mediana), i’tidal (moderazione), rushd (sincerità, onestà), istiqaamah (rettitudine, correttezza). Mu’tadil nella religione è colui che aderisce agli ordini di Allah e non devia da esso ne verso ifraat ne verso tafrit.
tra loro c’è una comunità che segue una via di moderazione, ma malvagio è quello che fanno molti di loro” (Versetto 5.66).1
Quando esaminiamo questi termini fra di loro capiamo che al musulmano è richiesto aderire ai limiti imposti da Allah e non sorpassarli e nel fare questo deve essere mu’tadil e mustaqim. Il significato è chiaro, è quello di aderire a ciò che Dio ci ha ordinato e di allontanarci da ciò che Dio ha vietato. Istiqamah qui ha lo stesso significato di ‘ittaqi ( abbi timore di Dio). Il concetto è ancora più chiaro nel versetto
invitali dunque[alla fede], procedi con rettitudine come ti è stato ordinato e non seguire le loro passioni.” (42.15).
Il musulmano non è in grado di capire da se la taqwa e la direzione della rettitudine; se fosse lui a decidere che cosa sia moderazione andrebbe o verso tafrit o verso ifraat. Perciò non c’è istiqamah senza seguire la rivelazione di Allah, intesa nel senso di seguirla essa sola e renderla la base dell’agire e del giudizio e non sorpassare i suoi limiti. Ciò che sta dietro questa condanna dell’eccesso e del relativismo allo tesso tempo è proprio l’equilibrio con cui l’islam vede la natura dell’essere umano. Entrambi questi tipi di individui distruggono se stessi e non vivono la vera serenità, il primo che rappresenta l’eccesso, segue una strada di ostinazione illimitata, il secondo che trascura, vuole piacere alla gente e non si cura di piacere al Misericordioso. È da questo punto di vista che dobbiamo intendere le parole di Allah
e Così facemmo di voi una comunità equilibrata, affinché siate testimoni di fronte ai popoli e il Messaggero sia testimone di fronte a voi.” ( 2.143) .,” sii dunque retto come ti è stato ordinato, tu e coloro che si sono convertiti insieme con te. Non prevaricate, ché Egli osserva quello che fate” ( 11.112).
Da quanto detto prima capiamo quindi che l’individuo musulmano non può decidere da se cosa sia moderazione e cosa sia estremismo, perché innanzitutto ci sarebbe una condizione di relativismo prepotente che regnerebbe sul giudizio di ogni musulmano, cioè ogni musulmano acquisirebbe una propria concezione di moderazione, che contrasterebbe con quella dell’altro musulmano e così via e cos’è questo se non distruzione del concetto di ummah?. In secondo luogo l’individuo lasciato a decidere da se non seguirebbe mai la vera moderazione, quella voluta da Dio, ma andrebbe o verso ifraat o verso tafrit, cioè o verso l’eccesso o verso la negligenza, perché seguirebbe ciò che gli ordina il proprio desiderio.
Dopo questo passiamo a spiegare quanta importanza ha avuto e ha tuttora il concetto di Islam moderato nella visione statunitense delle relazioni con il Medio Oriente, nonché delle condizioni delle comunità islamiche residenti in America e anche in Europa. Quanto quindi esso sia importante nella dimensione politica.
Possiamo affermare che l’islam moderato stesso come concetto è nato grazie all’America. Nel fare questo ci appoggeremo a documentazioni rilevanti pubblicate nell’ambito delle relazioni strategiche tra Gli Stati Uniti e il Medio Oriente.
Prenderò in considerazione una pubblicazione della RAND Corporation, un importante think tank statunitense che si occupa di politica globale.2
In questa pubblicazione, intitolata Building Moderate Muslim Networks, si afferma come sia strategico per gli USA contribuire, se non addirittura creare appositamente, delle “reti moderate islamiche”, che possano conquistare il consenso delle popolazioni locali e che in ultima istanza appoggino quindi l’ideologia liberale occidentale, solo così si può sconfiggere quella parte del mondo arabo-islamico, che aspira all’applicazione della sharia nei Paesi musulmani. Questo passaggio è di estrema importanza, perché come si afferma nel Quardrennial Defense Review Report del Dipartimento di difesa americano “ gli Stati Uniti sono coinvolti in una guerra che è sia una battaglia di armi che una battaglia di idee, nella quale l’ultima vittoria può essere vinta solo quando le ideologie estremiste sono discreditate negli occhi delle loro popolazioni e dei taciti sostenitori”3. Nella prefazione del testo si afferma in modo chiaro inoltre come “la battaglia che il mondo musulmano conosce oggi sia essenzialmente una battaglia di idee, il cui esito determinerà il futuro del mondo musulmano ma anche la sicurezza dell’Occidente.4

Il testo sostiene l’appoggio all’islam moderato a partire anche dalla constatazione del fallimento di strategie precedenti, quali la creazione di canali ad hoc per rappresentare la voce americana nel mondo arabo. Ad esempio Al hurra e Radio Sawa, nonostante l’alto finanziamento (700 milioni di dollari all’anno), non sono state in grado di cambiare l’opinione pubblica araba sull’America e neanche di alleviare la formazione delle cosiddette ideologie estremiste.
In altre parole gli Stati Uniti hanno capito che è difficile allontanare le popolazioni islamiche dalla loro religione, è difficile esportare il sistema liberal-democratico odierno con il suo neoliberismo e laicismo senza che questo incontri ostacoli poiché esso è in contrasto con la visione islamica di Stato e della politica. La soluzione risiede perciò nel trovare un compromesso che consista nell’esportare l’ideologia neoliberale nel mondo arabo-islamico in un modo che non sia contrastato dall’islam, per fare questo bisogna trovare un appoggio da parte dei musulmani stessi, ossia rendere l’ideologia neoliberale compatibile con l’islam. È necessario a tal fine il sostegno nonché l’approvazione dei musulmani, almeno di una certa parte intellettuale, che si occupa del mondo sociale e che riuscirebbe a comunicare il messaggio con maggior facilità. Questo è il lavoro che dovrebbero svolgere, secondo il documento, quelli che sono definiti nel testo Moderate Muslim Networks. Bisogna notare qui come l’obbiettivo sia quello di sfruttare certe visioni interne all’islam, perché come succede in ogni società affinché un’idea esterna possa avere successo necessita di una legittimità dall’interno. Questa legittimità, ipotizza la RAND, può essere raggiunta attraverso il ruolo dell’islam moderato.
Il testo definisce anche le caratteristiche del musulmano moderato come di colui che condivide le dimensioni chiave della cultura democratica. Questi includono l’appoggio per la Democrazia e i diritti umani riconosciuti internazionalmente, inclusa la l’uguaglianza di genere, l’accettazione che ci sono altre fonti di legislazione oltre a Sharia e l’opposizione al terrorismo e altre forme illegittime di violenza.5
Parla anche dei possibili alleati, tra cui innanzitutto coloro che appoggiano la secolarizzazione del mondo arabo-islamico e i liberali. Elenca inoltre una serie di elementi fondamentali che possono contribuire a ciò, tra cui varie ONG, associazioni di vario genere ma soprattutto quelle che si occupano delle donne, nonché le istituzioni importanti come le università, oltre allo sfruttamento di personaggi importanti quali giornalisti e scrittori rilevanti, senza dimenticare ovviamente il ruolo importante che svolgono i Media.
Un altro punto interessante di cui il testo parla è il confronto fra ciò che era stata la minaccia sovietica della guerra fredda e ciò che è oggi la minaccia dell’islam per l’America, un intero capitolo è dedicato a tale questione col titolo “ paralleli tra la guerra fredda e le sfide del mondo musulmano oggi”.Questo parallelismo è stato spesso usato per spiegare la guerra che gli Stati Uniti conducono in vari Paesi islamici, come l’Iraq e l’Afghanistan, una guerra in cui si è personificata una minaccia. A tal proposito cito un documentario della BBC intitolato “ the Power of Nightmares, the rise of politics of fear” trasmesso nel novembre 2004, questo documentario analizza come la retorica politica internazionale stia creando la paura come mezzo politico e come fonte di manipolazione. In base a ciò che svela il documentario il fallimento del liberalismo americano durante gli anni Sessanta e Settanta e il progressivo decrescere dello stato di legittimità americana nella scena politica internazionale spinse lo Stato a cercare nuove vie per restaurare il potere e l’autorità. Invece di far sognare, come facevano una volta, i politici iniziarono a promettere protezione dagli incubi per acquisire maggiore legittimità. Nel passato l’Unione Sovietica era l’incubo da combattere per eccellenza, dopo l’11 settembre un nuovo incubo si sta sviluppando e delineando anche se in realtà il processo era già in atto dagli inizi degli anni Novanta, un incubo che incute paura e che spinge la politica estera americana a prendere provvedimenti contro ciò che è impacchettato nella formula di “fondamentalismo islamico”. Il bisogno di combattere i fondamentalisti islamici per la sicurezza nazionale e la pace nel mondo è divenuta la preoccupazione predominante6.
Da quanto esposto finora si può capire come l’idea che l’Occidente ha della moderazione è diversa da quella che l’Islam include, la prima è un’idea relativista che in base al cambiamento del tempo e delle circostanze e dei pensieri cambia anche l’idea di moderazione, la seconda invece è spiegata all’interno della rivelazione di Allah e mostrata dalla sunna, quindi se la prima è relativa, la seconda mira proprio ad evitare il relativismo. Chi decide cosa è estremismo e cosa non lo è? Se dovessimo seguire la prima direzione arriveremmo anche a pensare che il hijab ad esempio fosse una forma di estremismo (come ritiene una parte dell’Occidente nonché una parte dell’ambiente intellettuale arabo, i cosiddetti intellettuali liberali arabi, oltre ad alcuni pensatori che si definiscono essi stessi islamici); questo è quello che può implicare ad esempio un’interpretazione dell’islam nella chiave di moderazione così come intesa e voluta dal pensiero liberale occidentale, che contrasta però palesemente, coma abbiamo visto, con il concetto di moderazione nell’islam.
L’islam moderato costituisce un pensiero errato anche per un altro motivo, diverso da quelli finora esposti. Come abbiamo spiegato prima l’obiettivo degli Stati uniti e di altre potenze occidentali nell’appoggiare i cosiddetti musulmani moderati risiede nella loro paura che i musulmani, rifacendosi all’islam, possano rappresentare un pericolo per i loro interessi e al liberalismo come sistema politico egemone in quanto l’islam sfida i suoi stessi principi essendo intrinseca nell’islam la dimensione politica. Questa affermazione, intellettualmente innegabile poiché è vero che l’islam e il liberalismo sono due sistemi diversi, presenta però una fallacia, tale per cui, come si sente dire spesso, se i musulmani vivono in Occidente devono condividere completamente il sistema ideologico che esso presenta, ossia integrarsi, altrimenti non hanno diritto di viverci.
Questo punto di vista non è corretto per una ragione assai semplice che cercherò di spiegare.
Il liberalismo come sistema in se, ossia come pensiero e teoria che ha generato la realtà politica, economica e sociale dell’Occidente di oggi, quindi il principio basilare sul quale si fonda la civiltà occidentale odierna, non richiede che le persone che vivono al suo interno debbano condividerne necessariamente la base intellettuale.
David Miller, un teorico politico britannico, scrive che “ Gli Stati liberali non richiedono che i loro cittadini credano nei principi liberali, visto che tollerano comunisti, anarchici, fascisti ecc. Ciò che richiedono è che i cittadini si conformino ai principi liberali nella pratica e accettino le legittime politiche perseguite nel nome di tali principi, ma sono liberi di sostenere posizioni alternative.”7
Questo è un passaggio importante che riassume un concetto rilevante alla base di tanti sistemi, per capirlo basta osservare le società di oggi. Molti individui nelle società occidentali di oggi non condividono la visione del loro sistema, molti “occidentali” non condividono neanche l’idea di Stato-Nazione, ci sono tuttora persone che ad esempio aspirano al comunismo nella sua forma di sindacalismo rivoluzionario e si ispirano nella loro vita più ai discorsi di Lenin e Rosa Luxemburg che ai politici odierni, ma ciononostante sono tollerati dallo Stato, nella misura in cui ovviamente non ne capovolgano l’esistenza. Perché questo atteggiamento non è consentito ai musulmani? Perché essi invece devono credere assolutamente nei principi liberali occidentali, nonostante sia lo stesso sistema liberale, almeno nella sua teoria, a prevedere che si possa credere in posizioni alternative? Evidentemente la comunità islamica costituisce una eccezione sgradevole agli occhi dell’Occidente illuminato.
In conclusione possiamo ribadire come non abbia senso parlare di musulmani moderati o musulmani estremisti, in quanto la moderazione e l’estremismo sono due concetti relativi, la cui misura potrebbe cambiare nello stesso modo in cui la moda cambia i gusti; ciò di cui si può parlare sono le idee, che possono essere confermate, smentite, argomentate e contro-argomentate dallo studio del Corano e della Sunna, senza la pretesa a priori di rendere tali idee conformi a dei parametri esterni o a degli interessi particolari.



1Traduzione Corano di Hamza Roberto Piccardo.

2È un Think Tank statunitense che si occupa di politica globale. Fu istituito dal dipartimento di difesa americano per offrire ricerca e analisi. È attualmente finanziato dal governo statunitense ma riceve importanti finanziamenti anche da enti privati. Ne hanno fatto parte diversi personaggi importanti della politica americana, come Condoleeza Rice e Donald Rumsfeld, ma anche studiosi importanti come Fukuyama.

3RAND, Center for Middle East Public Policy, A. Rabasa, C. Benard, L.H Schwartz, P. Sickle, Building Moderate Muslim Networks, Pittsburgh. Reperibile su www.rand.org

4Ivi, preface

5RAND,op.cit, p.66

6The Power of Nightmares, the rise of politics of fear,2004, reperibile sul sito www.youtube.com

7D Miller, ‘Immigration, nations and citizenship’, paper presentato ad una conferenza
5–6 Luglio 2004, sponsorizzato dal Centre for Research in the Arts, Social Sciences
and Humanities (CRASSH), University of Cambridge, Cambridge, UK

Lo strabismo dell Occidente

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di Ahmad Abdel Aziz
Questo periodo, per un arabo cresciuto in Occidente, o meglio, per un italiano di origine araba, è un momento particolare.Sul palco della storia è in corso unospettacolo inatteso, quanto mai inaspettato, soprattutto per chi, come me, è cresciuto con la quasi convinzione, indotta ovviamente, che le cose in Italia non cambieranno mai, e in Egitto, mio paese d’origine, ancor meno.
Quando in Tunisia le corpose manifestazioni di piazza, cosa rara nei Paesi arabi, hanno acquisito i connotati di una vera e propria rivoluzione, ho avvertito che la storia stava per attraversare momenti di grandissima intensità.
Il 9 marzo leggo su ‘Il Corriere della Sera’ un articolo di Piero Ostellino dal titolo “La profezia di Oriana”.L’argomentazione principale poggia sui differenti scenari che si potrebbero delineare nei Paesi interessati dal cambiamento e percorsi dalle rivolte, e in Europa, in cui “l’ arrivo di masse di profughi, in fuga da quei Paesi prima della loro stabilizzazione, minaccia di incrementarne il tasso di «islamizzazione»”.
Secondo Ostellino, riassumendo, siamo dinnanzi a due problemi, entrambi per l’Occidente.
Il primo: il rovesciamento dei dittatori, detti anche i custodi della stabilità politica e soprattutto economica, crea un vuoto riempito dagiunte militari, parimenti illiberali” che quindi, oltre al non essere partner affidabili, non sono neppure promotori di democrazia. Questo scenario, al saldo degli eventi, ci presenta una sostanziale perdita di opportunità anche in virtù del fatto che, le nuove classi dirigenti politiche che hanno preso il posto dei vecchi e cari dittatori, vorranno ridefinire, giustamente, i nuovi rapporti politico-economici.
Il secondo problema: riguarda  il pericolo di «islamizzazione». In primo luogo viene presentata come assodata l’equazione per cui all’islam è equivalso un contributo negativo sul piano della modernità dunque della secolarizzazione, sul piano politico e sociale, oltre che sul piano religioso.
Evitando di entrare in analisi antropologiche sulla differenze delle due «civilizzazioni» incompatibili”, ovvero l’Islam e l’Europa, si può affermare che lo strabismo col quale si guarda il mondo al di la dell’Occidente non solo è del tutto inadatto, e si traduce nel non riuscire a comprendere il mondo arabo-islamico, dunque quanto sta accadendo oggi, ma si traduce anche in una assoluta incapacità di comprendere il nostro cambiamento, il cambiamento culturale e sociale dell’Europa. Si continua ad utilizzare lo schema l’Islam e l’Occidente come se l’Islam non fosse già in Europa e come se i musulmani non fossero parte integrante della “cultura comunitaria”.
Ovviamente, da giovane musulmano, europeo di origine araba, come tanti ce ne sono in Italia e Europa, intendo, ad esempio l’utilizzo della terminologia «fondamentalismo islamico», utilizzata come concetto generico, sempre citata quando si parla di Islam o mondo arabo, come l’incapacità di analizzare il cambiamento in modo serio, tralasciando l’allarmismo e gli scenari tratti da “l’ infausta profezia di Oriana” che denotano, oltretutto, anche una sorta di fragilità.
Bisognerebbe dire, in un messaggio chiaro, ai nostri analisti, giornalisti e politici, che o si intraprende la strada della comprensione seria delle dinamiche del cambiamentonel mondo arabo/islamico e a casa nostrao si rischia di scontentare tuttii giovani di piazza Tahrir, che ci guardano attraverso ‘Al Jazeera’ e che -cosa nuova per noi- ci giudicano, e i giovani che crescono nelle nostre città, che, come me, si sentono citare troppo spesso come dei problemi estranei alla nostra civiltà.
Bisognerebbe, inoltre, ricordare ai nostri politici e strateghi, che anche soltanto il pragmatismo economico e politico dovrebbe spingerli verso un ‘utilizzo’ della diversità come connettore di realtà, dunque come motore di relazioni, che sono la base dello sviluppo economico e politico di una Nazione.
Tutto questo, però, è possibile se si ha la consapevolezza che la diversità è un problema se chi la gestisce è incapace di tradurla in possibilità.
Così, mentre il Presidente Barack Obama nomina Gary Locke, il sessantunenne di origine cinese, Ambasciatore a Pechino dicendo”non credo che nessuno sia più qualificato di Gary Locke”, intendendo nessuno è parte di entrambe le realtà, cinese e americana, dunque in grado di comprenderle entrambe, e spiegando anche il pragmatismo della scelta -“la cooperazione fra i nostri paesi farà bene a noi, alla Cina e al mondo intero”-, il nostro Ministro agli Interni, Roberto Maroni, evidenzia quanto poco conosce il mondo arabo, quando, intervenendo  sulla questione Libia, prospetta come “un intervento militare significherebbe la terza guerra mondiale”, perché “un’azione militare forte, in particolare da parte degli Usa non farebbe altro che coalizzare gli altri stati arabi”, senza trascurare, naturalmente, il rischio fondamentalista islamico con Al Qaeda, sia che si parli di Libia, sia che si parli di sbarchi a Lampedusa.
Come dire, il mondo sta cambiandonoi no.

L'impegno democratico dei musulmani milanesi

di Paolo Gonzaga 

Il nostro fratello Davide Piccardo, nel suo bellissimo e totalmente condivisibile articolo sulla partecipazione dei musulmani, riportato dal sito-blog e luogo di dibattito:www.ethikos.net, ha scritto: “  Se vogliono essere fedeli ai propri valori, i musulmani devono continuare il percorso di apertura intrapreso, assumere completamente la responsabilità che implica la cittadinanza attiva, nonché un ruolo da protagonisti nelle lotte per i diritti comuni, lotte da portare avanti cercando la costituzione di alleanze ampie, con chi ha a cuore il destino del Paese. Devono uscire dalla fase catacombale,  della quale  sono emblematici gli scantinati,  in cui anche simbolicamente il potere li vorrebbe tenere, e avviare un dibattito approfondito su come  farsi portatori della necessità di una riscossa dell’etica.


E da questo punto vogliamo riprendere il filo del discorso, cominciando con una breve introduzione.
L’Italia sta vivendo un clima politico tra i peggiori della storia repubblicana, un momento di enorme discredito dell’immagine internazionale, di immobilismo economico,  di generazioni che crescono nella precarietà e non vedono sbocchi futuri, di povertà crescente, di corruzione dilagante e di mafie sempre più potenti, con un governo autoritario e sempre più incapace di accettare una normale dialettica politica, un governo ossessionato dai processi del Presidente del Consiglio ed incapace da tempo ormai di occuparsi del Paese .

Un governo con un Presidente del Consiglio che, nell’Italia della corruzione record, dell’evasione fiscale più alta d’Europa, delle mafie più potenti del mondo, pensa a come depotenziare e minare l’attività della magistratura, a come sottoporla al controllo politico dell’esecutivo, a come evitare la galera ai corrotti la depenalizzazione del falso in bilancio ed i condoni voluti da Berlusconi ad esempio gridano vendetta.

Berlusconi vuole una giustizia che tuteli il potente e sia spietata con il cittadino comune: infatti le carceri scoppiano di poveracci e sono in condizioni da terzo mondo con oltre 70.000 reclusi in strutture fatiscenti che ufficialmente al massimo potrebbero contenerne 43.000, di cui circa la metà extracomunitari. Un governo fallimentare a livello di politiche economiche e di sicurezza, populista, xenofobo, stretto alleato dei peggiori dittatori mondiali, un governo  il cui principale partito, il PdL, è l’espressione diretta di un blocco di potere mafioso-massonico piduista , un grumo di interessi tra i più pericolosi della storia repubblicana, e in cui detta legge un partito come la Lega Nord che è ghettizzato in tutta Europa per le sue posizioni esplicitamente razziste e per le sue politiche inutilmente repressive e intolleranti vero le minoranze di ogni genere, verso gli stranieri, con un accanimento particolare verso gli arabi e i musulmani.

Il governo Berlusconi dura ormai da oltre 15 anni, grazie al controllo delle principali reti televisive con cui ha diffuso a piene mani un’ideologia edonista, individualista e cinica che è stata l’apripista e lo strumento dei suoi successi elettorali, ha sparso decadenza e distruzione di ogni valore che non fosse il successo ad ogni costo e l’uso del corpo come strumento di raggiungimento della ricchezza, umiliando tutti coloro che hanno sempre creduto nello studio, nell’impegno, nell’onestà, nella meritocrazia, nel pensiero libero.”L’ideologia” berlusconiana vorrebbe un mondo di spettatori passivi e non di cittadini attivi.
E’ proprio una visione del mondo quella berlusconiana, che viene trasmessa 24 ore al giorno dai suoi mass-media , non solo le tv, che restano comunque lo strumento principale, ma anche attraverso i giornali e soprattutto le riviste di gossip, che riprendono il mondo finto della Tv e tentano di farlo apparire vero, in un gioco di inganni infinito. Una visione del mondo opposta a quella di un musulmano e di qualsiasi essere umano che abbia un universo valoriale a cui far riferimento, a chiunque, credente o meno, abbia un’etica che rifiuta la mercificazione dell’essere umano, a chi antepone la fermezza dei propri principi agli idoli del denaro e del successo.

Oggi, vivendo e respirando gli umori della società italiana, ci accorgiamo di essere diventati tanti a non poterne più dell’egemonia esercitata per anni dalla sub-cultura berlusconiana, con tanto di bunga-bunga e Lele Mora. In questi ultimi anni e in questi ultimi tempi in modo particolare assistiamo con soddisfazione ad una nuova rinascita in mezzo alle macerie. Intellettuali, studenti, insegnanti e tutto il mondo della scuola, della cultura, della formazione, sono saliti sui tetti per denunciare la fine dell’illusione berlusconiana e non solo: la loro opposizione ad un mondo mercificato, dove l’uomo e i suoi bisogni vengono all’ultimo posto.

Precari, spesso altamente qualificati, stanchi di non trovare impieghi adeguati, di lavorare raramente e senza diritti, operai e lavoratori di ogni tipo hanno re-imparato l’importanza della partecipazione e dell’impegno individuale e collettivo per riprendersi i diritti gli si vogliono togliere o per rivendicarne di nuovi e hanno detto basta a un’economia che mette il denaro e il profitto al primo posto su tutto, che se c’è da salvare le banche spende centinaia di miliardi ma alimenta il razzismo mettendo i settori più deboli della popolazione gli uni contro gli altri. Con la manifestazione di milioni di donne del 13 Febbraio, contro la mercificazione del corpo femminile, stufe di questa continua decadenza, sono definitivamente emerse nuove forze fresche e determinate, le donne, scese in piazza come mai si era visto da decenni.

E prima ancora il movimento sociale che si era schierato accanto alla Fiom nella sua lotta per la difesa dei diritti dei lavoratori, comprendendo come non fosse una questione della Fiat, ma riguardasse l’intero modo di concepire i rapporti nei luoghi di lavoro, a tutto danno dei lavoratori. E i tanti movimenti nati per la difesa della Costituzione, quelli contro le mafie, in difesa dell’ambiente in tutta Italia, contro il precariato, contro il razzismo e per la solidarietà. Un universo di persone che lottano nella loro vita quotidiana per un mondo, per un’Italia migliore. Tutte queste forze esistono da anni, lavorano spesso lontano dai riflettori ma attivamente nel tessuto sociale del Paese,  hanno resistito a lungo e ora, grazie agli anticorpi sparsi a piene mani in momenti in cui il contagio razzista e berlusconiano sembrava più virulento, la società civile italiana si è risvegliata e finalmente ora queste forze, che hanno imparato a conoscersi e ad interagire tra di loro, creando un’enorme massa critica, cominciano ad intravedere la fine dell’incubo berlusconiano-leghista. 

In questo clima si gioca una partita importantissima: l’elezione del nuovo sindaco di Milano.
L’occasione enorme che hanno i musulmani che vivono a Milano, per cominciare a contribuire al benessere e alla giustizia della società italiana e anche per sé stessi come individui liberi e portatori di diritti, per iniziare ad autodeterminarsi e prendere in mano il proprio futuro e quelli dei propri figli, è l’elezione del Sindaco di Milano che avverrà a Maggio. Qui si scontreranno in una sfida ad alto valore simbolico, la rappresentante femminile del berlusconismo, fenomeno nato a Milano, - Letizia Moratti, contro un’alternativa reale, un uomo onesto e rispettato in tutta Milano e in tutta Italia, Giuliano Pisapia, valido avvocato e attivista per i diritti umani, indipendente e senza tessere di partito, ma appoggiato da una vasta coalizione di centro-sinistra che va dal Partito Democratico arrivando a FdS, passando per Sel e Idv.  Nei sondaggi Pisapia è in leggero vantaggio, ma la partita è ancora tutta da giocare, anche in virtù di quello che sarà il voto dei musulmani a Milano. Nelle elezioni precedenti la Moratti, la stessa che ha negato un luogo di culto dignitoso per i musulmani,  vinse con poche migliaia di voti di differenza sul centro-sinistra e, se consideriamo che a Milano i musulmani sono oltre 100.000, si intuisce che potrebbero fare la differenza.

Un’elezione importantissima per il suo alto valore simbolico, ma anche soprattutto per le ricadute sulla vita quotidiana di ognuno di noi, sulla vita di ogni persona che professa la religione islamica, che porta un nome straniero,  che desidera un mondo dove le persone cooperino, condividano esperienze e pratichino la solidarietà, un mondo più vivibile dove ci si aiuti reciprocamente e dove il desiderio di conoscersi tra uguali ma diversi, come sono tutti gli esseri umani, sia più forte e vinca sempre sulla paura irrazionale. 

Quale occasione migliore per finalmente uscire dal ghetto, per finalmente tornare a partecipare e a decidere del proprio futuro e del futuro dei propri figli? Senza tanta ideologia: i musulmani milanesi rischiano, se non si svegliano dall’indifferenza, di essere complici della vittoria della coalizione PdL-Lega Nord, che ricandida la Moratti nonostante gli insuccessi e l’impopolarità, una coalizione razzista in cui è già stato designato il fanatico integralista cattolico Magdi Allam  come futuro assessore al neo-assessorato all’integrazione? (nel malaugurato caso di vittoria della Moratti). Un Magdi  Allam che proprio di questi tempi ha espresso “solidarietà a Berlusconi per l'attacco che sta subendo da parte di un ampio fronte trasversale che comprende politici del Centro e della Sinistra, poteri forti finanziari ed economici, la magistratura ideologizzata, mezzi di comunicazione di massa che speculano sullo scandalismo, parte della Chiesa cattolica relativista, buonista, multiculturalista e islamicamente corretta”

 Questa ipotesi funziona da cartina di tornasole per la Milano che prevarrebbe nel caso della vittoria della Moratti, ci dimostra pienamente lo spirito da cui sarebbero animate le politiche verso le minoranze, verso gli stranieri in generale, verso i musulmani in particolare. Una  Milano sempre più provinciale e chiusa nell’odio, nella diffidenza e nell’egoismo, per nulla in sintonia con una personalità eccezionale come il cardinale Tettemanzi, visto dalla parte politica della Moratti come “troppo amico degli immigrati”, in una versione del cattolicesimo intollerante e integralista, in opposizione alla Chiesa dei poveri, alla Chiesa dell’accoglienza, della fratellanza e del dialogo che è la tradizione della Chiesa Ambrosiana da cui vengono delle personalità meravigliose come il cardinale Martini, l’arcivescovo Tettamanzi e tanti altri.

La giunta Moratti che si conclude con queste elezioni, si è caratterizzata per la chiusura mentale e per la provincializzazione di Milano avvenuta durante il suo governo, le libertà basilari, sancite dalla Costituzione Italiana non sono stare rispettate, e l’atteggiamento verso i nuovi cittadini è sempre stato di ghettizzazione e negazione di diritti. Non è un mistero che il mondo cattolico di base, l’associazionismo diffuso cattolico abbia già espresso una chiara preferenza per il candidato del centro-sinistra, l’avvocato Pisapia. Pisapia si è dichiarato più volte e pubblicamente  deciso a costruire una Milano davvero internazionale, una Milano che potrà cogliere anche l’occasione dell’Expo ma facendo bella figura con il mondo e mostrando una città veramente pluralista, attenta all’ambiente, senza la corruzione a cui ci ha abituato la destra berlusconiana.

Ad onore dell’avvocato Pisapia va segnalato il suo forte impegno per la piena libertà di culto e l’eliminazione degli assurdi ostacoli burocratici per poter avere spazi di incontro e dove poter praticare liberamente la propria religione, con esplicito riferimento ai musulmani, ingiustamente emarginati sino ad ora e maltrattati in barba alla Costituzione italiana dalla fallimentare giunta Moratti, ostaggio della Lega Nord.

Ora proviamo ad immaginare la che Milano vogliamo. Abbiamo di fronte una reale alternativa che inciderà sulle vite di tutti noi: La Milano della Moratti, del razzismo, delle ordinanze coprifuoco che causano solo maggiore insicurezza e alimentano risentimento, ghettizzazione e portano all’indebolimento se non all'annullamento dei rapporti sociali, la Milano del suo promesso assessore “all’integrazione” Magdi Allam e del suo fanatismo razzista che lo porta addirittura a polemizzare con i vertici della Chiesa Cattolica, accusata di dialogare con le altre fedi. Non osiamo immaginare gli sforzi per l’integrazione del sig. Magdi Allam: con gente come lui, fanatici religiosi estremisti, il rischio banlieu nei quartieri a più alta densità di immigrazione diventerebbe serio e invece di risolvere e prevenire i possibili conflitti, avremmo un assessore integralista e bigotto, portato all'intolleranza e senza la minima idea del significato del pluralismo e della convivenza solidale e meticcia. 

Non possiamo sopportare ancora un nuovo mandato della Moratti, che ha reso Milano provinciale e chiusa in sé stessa sempre più cupa e in crisi, in mano agli speculatori di ogni sorta, coinvolta da mille scandali, ultimo le violazioni edilizie compiute da suo figlio,  ora oggetto di un'indagine della Procura, che si è voluto costruire la casa come Batman, fregandosene dei permessi e delle regole che dobbiamo seguire noi cittadini comuni. Mentre la Moratti difende l'indifendibile, a partire dai suoi assessori inquisiti, nega anche i più elementari diritti ai musulmani e alle minoranze, sgombera i centri sociali e gli spazi collettivi, spesso unici presidi contro il degrado e la sub-cultura mafiosa e malavitosa. La Milano della Moratti sarebbe una città che anche a livello internazionale di fronte ai milioni di visitatori che arriveranno con l’Expo, perderebbe la faccia per sempre, visto il nulla che è stato fatto fino ad ora. Possiamo pensare che l’approccio all’integrazione e alla cooperazione, per la prevenzione di conflitti e per la promozione della solidarietà di cui avrebbe bisogno una città che aspira a essere metropoli europea, possa essere dato in mano a gente molto ideologizzata e poco qualificata come un Magdi Allam qualunque?

Oppure ci rendiamo conto che possiamo davvero cambiare città e cambiare in meglio la nostra qualità della vita con la Milano di Pisapia, una Milano solidale, attenta all'ambiente e alla qualità della vita, inclusiva e che sa valorizzare la sua multi-etnicità, una Milano con un’amministrazione che punta al benessere sociale dei suoi cittadini, che vuole chiudere con gli appalti dati agli amici della cricca Moratti per l’Expo del 2015, vigilare attentamente sugli enormi business che inevitabilmente graviteranno e già gravitano attorno a questo grande evento. Un’amministrazione attenta all’individuo  in cui nessuno si senta solo o straniero, una Milano solidale in cui tutti i cittadini e le forze positive della città potranno esprimersi, dire la loro e influire sulla gestione della cosa comune. Pensiamo, per tutti i motivi esaminati precedentemente che sia necessario e non più rinviabile prendere delle posizioni chiare in favore di un candidato, Pisapia, in delle elezioni comunali che avranno enorme importanza nazionale e grosse conseguenze sulla vita di tutti coloro che abitano in questa città.

Come musulmani milanesi non possiamo perdere questo importantissimo appuntamento, siamo pienamente parte di un tessuto sociale che ci obbliga ad agire se vogliamo finalmente essere davvero una risorsa per il paese e se vogliamo agire per il bene di questa città, per noi stessi e per tutti coloro che non si rassegnano al cinismo e al qualunquismo che caratterizzano la sub-cultura di Berlusconi, il quale alle ragazze precarie suggerì di trovarsi un marito ricco e agli imprenditori di non pagare più tasse di quel che si ritiene “giusto” e che va a braccetto con il cinismo dei leghisti, i quali propongono autobus separati per gli immigrati, discriminano i bambini a scuola o addirittura all’asilo, violano la Costituzione italiana quotidianamente con il loro disprezzo e odio per le minoranze, delle diversità , la loro denigrazione dell’Unità d’Italia, della sua indivisibilità, dei suoi simboli.

 Proprio all’insegna della partecipazione e del lavoro dal basso, Pisapia ha lanciato un appello alla formazione di comitati di ogni categoria di cittadini in suo favore, composti da persone che vogliano aiutare a diffondere la sua visione di città e il suo programma per Milano, siano essi comitati di zona, come già esistono da alcuni mesi e che lavorano eccellentemente sul territorio rapportandosi con la cittadinanza zona per zona, siano essi comitati “di affinità”, cioè persone unite da un’idea, un’occupazione, un mestiere ecc. che si riuniscono in comitato in suo favore, così da basare la campagna elettorale sulla partecipazione, la cooperazione e il dialogo tra cittadini, proprio come è stato elaborato il suo programma di governo. La storia personale di Pisapia, di attento difensore di diritti e dei più deboli, la sua attenzione storica per l'ambiente, il percorso che ha portato alla sua candidatura, un percorso fatto da cittadini comuni e costruito dalla partecipazione, culminata con il voto di oltre 60.000 milanesi alle primarie, garantiscono sulla serietà della sua proposta e mostrano come potrebbe essere un alternativa concreta di governo della città di Milano, un buongoverno che a Milano manca da decenni, ma che si è aggravato decisamente in questi ultimi 5 anni di giunta Moratti. Per questo abbiamo creato un comitato a favore di Pisapia che ne supporterà attivamente la campagna.

E’ necessario però che il comitato si ampli, che la comunità islamica tutta sia coinvolta e attiva, che senta questa tornata elettorale come cosa che la riguarda nella sua interezza e come una possibilità di auto-determinazione, per non dover più elemosinare nulla, ma vivere in una città dove i diritti, la multietnicità, la libertà di culto, l’incontro tra culture, la condivisione, la cooperazione e la Costituzione siano una cosa concreta e non mera retorica.  
Partecipare, esercitare cittadinanza attiva, se non ora quando?