I veli piú pericolosi sono quelli dentro la testa

di Sumaya Abdel Qader
 
In questi giorni torna in auge il dibattito sul burqa e sul niqab (i veli usati da alcune donne musulmane per  coprire interamente corpo e viso). Promotori di tale discorso sono nuovamente i francesi. Infatti  6 mesi fa è stata istituita una commissione parlamentare affinché studiasse la questione burqa e niqab per decidere il da farsi a tal proposito, pensando di  vietarlo totalmente. Invece, alla fine del lungo periodo di studio e riflessione, la commissione così si è espressa: il burqa e il niqab «offendono i valori nazionali della République». 

La questione velo islamico in generale non è affare nuovo nel paese della  liberté, égalité e fraternité. Infatti già qualche anno fa si discusse sul velo semplice, quello che scopre il viso detto Hijab, che venne vietato alle musulmane che frequentano le scuole e i luoghi pubblici in nome della laicità (provvedimento che colpisce in diversa misura anche fedeli di altre religioni vietandogli l’ostentazione dei loro simboli).

Tornando a oggi, la discussione sul velo integrale sembra ridondante visto che, appunto, una legge sui simboli religiosi esiste già (se proprio dobbiamo classificare il velo come un simbolo e, per le musulmane non lo è). Comunque, la legge sul divieto totale di indossare il burqa e niqab non arriva, mentre giungono delle disposizioni che vietano di indossare i sopracitati abiti nei luoghi pubblici, pena il rifiuto di corrispondere il servizio richiesto. In ogni modo la “soluzione al problema” non si trova.

Ma cos’è il hijab per le donne musulmane? E il niqab? Il hijab è l’abbigliamento che una donna porta in segno di devozione a Dio. La prescrizione arriva dal Corano (prima fonte giuridica dell’Islam), che di per sé resta generale e non spiega come debba essere questo “abbigliarsi”. Lo precisa però un detto del Profeta Muhammad (seconda fonte giuridica) in cui le indicazioni sono più chiare: deve essere un indumento che copra il corpo e il capo, non trasparente e neppure aderente. Restano scoperte le mani, il volto e secondo successive interpretazioni (terza fonte giuridica) anche i piedi. Dunque il niqab non compare come obbligo religioso nell’ortodossia islamica.

Allora, da dove prende origine? Oltre a essere una tradizione già presente in diversi contesti culturali del passato, questo fu ripreso anche dalle mogli del Profeta Muhammad come segno della loro distinzione, elevazione e rispetto. In seguito, alcune donne musulmane per imitarle o per eccesso di zelo hanno decisero si seguirne i passi. 

Col tempo, in alcuni contesti spazio temporali, la copertura del volto e del corpo sono state imposte alle donne e in molti casi questo atto è diventato funzionale all’arroganza maschile e a una forma patriarcale, che spesso si traduce in mero fanatismo, puro tradimento del messaggio originale dell’Islam e del senso spirituale profondo di devozione e di libertà nella scelta di adorare Dio.

Tra religione e tradizioni locali tribali di taluni paesi  si stabiliscono così divergenze e incoerenze non indifferenti. Da queste situazioni limite nasce il grande equivoco attorno alla comprensione dell’Islam. Da qui (ma non solo) l’accusa generalizzata nei confronti di questa fede e quindi dei suoi fedeli di essere contro le donne e di volerle sottomettere, confondendo continuamente piani diversi tra loro. Un equivoco rafforzato poi da diversi fatti storici tra cui i tragici attentati dell’11 settembre che hanno messo sotto i riflettori tutto il mondo islamico, spesso indiscriminatamente, trattandolo come blocco monolitico e immutabile.

Tornando alla Francia di oggi, è interessante cogliere e osservare che il dibattito sul niqab, e in generale sul velo, si intrecci con quello dell’identità nazionale che cerca di capire quali siano i valori della Repubblica e su chi sia  “il francese”, o forse di confermare quelli che da sempre si pensavano esser solidi e chiari principi della République. Valori repubblicani e laici versus valori individuali e libertà della persona, uno storico dibattito sulla funzione e sullo spazio d’azione dello Stato verso la “cosa privata”.

Ma è davvero su questo piano che si sta sviluppando il discorso? Oppure dobbiamo preoccuparci di una “deriva”  anti islamica che possa incidere e condizionare le agende politiche? I politici dicono di no. Proviamo a crederci. Però alla domanda “burqa e niqab si o no” è sottesa questa:  l’islam è compatibile con la democrazia?

Si può dunque parlare di esigenza e urgenza di intervenire sull’abbigliamento di una manciata di donne completamente coperte creando un dibattito pubblico spesso fuorviante che ovviamente non mette solo in discussione queste scelte (laddove son tali) ma l’ intero mondo di fedeli musulmani  (un miliardo e mezzo di anime)?

Tornando al nostro tema, mi sembra troppo facile alla fine prendersela con i simboli senza pensare alle persone. Perché parlando di niqab e burqa parliamo di donne. Donne che sovente scelgono di indossarlo. Specie da questa parte del mondo dove siamo lontani da certe società patriarcali e tradizioni tribali. Tra l’altro possono stupire le stime francesi che ci dicono che sui 5 milioni di musulmani solo 1900 donne portano il niqab e di queste i due terzi sono francesi convertite all’islam. Una forte scelta che viene vissuta come segno di alta devozione a Dio, estrema sicuramente ma non diversa dalla scelta di una monaca di clausura che vuole donarsi al Signore, isolandosi dal mondo intero. Nessuno ha mai discusso sul loro livello di integrazione sociale o penserebbe mai di liberarle dal loro “ghetto”,  tanto meno i  musulmani che anzi le rispettano profondamente .

Altra questione sollevata è il presunto aumento delle donne musulmane che scelgono di  indossare il  niqab. Io invece mi chiedo: non è che ce ne stiamo accorgendo solo ora, della loro esistenza? E anche se questa lieve crescita fosse reale, potremmo leggerla come sintomo di un aumento dell’estremismo o come radicalizzazione nelle rivendicazioni  identitarie in relazione alla pressione percepita?

Beh, solo questo sarebbe profondamente indicativo di una reazione post-11 settembre che ha visto la lotta all’estremismo islamico trasformarsi in una lotta all’islam (appunto  nella percezione di molti musulmani, percezione consolidata anche dalla crescente strumentalizzazione fatta da una parte del  mondo politico e intellettuale occidentale).

Ma guardiamo ora al nostro paese. L’Italia non è uno stato propriamente laico. Diversamente dalla Francia, dove lo Stato non interviene nell’affare religioso,  non prevede simboli religiosi nei luoghi pubblici e resta indifferente alle religioni con attitudine “esclusivista”, l’Italia, semmai, si pone con la sua Costituzione,  più come uno Stato  “pluri religioso”. L’Italia non è indifferente alle religioni. Abbiamo difatti perfino un concordato con la Chiesa che solo dall’84  non vede più in vigore il principio secondo cui : «la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato».

Questo ci deve far riflette sulla superficiale tentazione che alcuni politici hanno nel voler  “copiare e incollare” leggi o provvedimenti di altri Stati, che hanno una storia e percorso differente al nostro. Una legge “mirata” anti niqab in Italia è fuori luogo. Per una manciata di niqab (se ne stimano non più di 200 in Italia!)  non si scomoda un intero Parlamento e non si mette in “agitazione” un paese intero! Bastano  le leggi che abbiamo. Le donne che lo indossano sono tenute a farsi riconoscere dal pubblico ufficiale o da chi ne abbia la facoltà di chiederlo.

La sottoscritta certo non incoraggia il niqab, ma crede profondamente in quegli articoli costituzionali che tutelano la libertà personale (art. 13 Cost.),  la libertà di circolazione (art. 16 Cost.), la libertà religiosa (art. 19 Cost.) e la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.). Come può questo conciliare con un divieto d’abbigliamento (se liberamente scelto) in nome dell’imposizione di una libertà? Questo ha l’aria di voler stabilire una “legge speciale, ad hoc”.L’urgenza  semmai è di migliorare e aumentare la lotta alla criminalità, alla mafia, all’evasione fiscale, all’inquinamento, al clientelarismo, risanare la politica fatta di scontri e opposizioni sterili  e valorizzare meritocrazia e gioventù, questo solo per fare alcuni esempi. Non c’è un allarme di ordine pubblico riguardante il niqab.  Il rischio semmai è di ottenere risultati opposti:  isolare le donne che lo portano per costrizione, punire le donne che lo scelgono liberamente, radicalizzare le posizioni di molti a favore degli estremisti. Sarebbe invece utile pensare di sostenere le donne che subiscono violenze e costrizioni, non discriminare le libere donne che scelgono di portare il hijab (quello che scopre il viso) dando pari opportunità a tutte con una politica inclusiva.  L’obiettivo è la serena interazione e cooperazione sociale a prescindere dalle scelte di fede, nel pieno rispetto delle leggi del nostro Stato, che non smetterò mai di ribadire, sono pienamente compatibili con l’Islam.

Interessante la proposta del ministro Carfagna, fatta a Repubblica Tv, di costituire un gruppo di lavoro con donne immigrate e di fede islamica per approfondire questo e altri importanti temi legati alle donne. Un modo per non parlare solo delle donne ma con le donne stesse.  Da oggetto a soggetto del dibattito, non è cosa indifferente in un’ottica interattiva e costruttiva.

D’altra parte la comunità musulmana deve continuare e aumentare l’impegno e l’opera di responsabilizzazione volto a combattere ogni forma di denigrazione, violenza e non rispetto verso le donne. I veli che più devono spaventare sono quelli dentro e non fuori la testa. 

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