di Izzedine El Zir
Contributo del presidente UCOII al documento preparatorio alla 46° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Alla questione: “Come ridurre precarietà e privilegi nel mercato del lavoro, aumentandone la partecipazione, flessibilità ed eterogeneità?”
Il problema di fondo sta proprio nella parola “mercato”. Ci sembra infatti che sia giusto domandarci se sia eticamente corretto porsi di fronte alla necessità che le persone hanno di vendere la loro forza-lavoro considerando questa fattispecie come qualcosa da mettere su un mercato.
Iddio ha dato alle creature umane corpo e mente, ma anche spirito la Lui proveniente, facendone una eccezione nella Sua creazione, e grazie a questo spirito esse sono qualitativamente diverse da ogni altra specie che cammini, voli o nuoti tra i cieli, le acque e le terre.
Questa diversità, le pone in una dimensione assolutamente unica se è vero com’è vero per noi credenti, che nella natura umana Iddio ha posto caratteristiche che Lo rispecchiano: la bontà, la misericordia, l’anelito alla giustizia, alla ricerca della verità e della conoscenza.
Potremmo quindi porci di fronte allo sforzo degli uomini e delle donne che abitano questa Terra come fosse una merce qualsiasi? Una materia prima o un servizio che si sottopone ad un MERCATO?
Il mercato è una realtà oggettiva o una sovrastruttura costruita ad arte per spossessare le persone del loro diritto ad una fatica possibile, ad una retribuzione equa, ad un uso del tempo equamente diviso tra atttività produttiva, ludica e contemplativa?
Dati recenti di spostamento della ripartizione del PIL hanno evidenziato come negli ultimi anni, riparandosi dietro una crisi che ha morso l’intero Occidente, ben 8 punti di quell’indicatore siano stati trasferiti dai lavoratori alle imprese che non ne hanno fatto generalmente un buon uso, ma soprattutto alla rendita finanziaria, alla speculazione.
E questo facendo ricorso alla delocalizzzione e a forme sempre più estreme di precariato, ai contratti così detti “atipici” che con la scusa di andar incontro alle necessità dell’impresa hanno invece ridotto la forza lavoro ad una variante trascurabile nel processo produttivo.
Crediamo con forza che la garanzia del posto di lavoro, ben oltre un elemento di stabilità materiale, sia il presupposto per la progettazione di un’esistenza serena, e dell’edificazione di una famiglia equilibrata e, nella serenità e nell’equilibrio, il Paese non potrebbe che progredire.
Nell’insicurezza della precarietà è insita la depressione degli individui, la rinuncia alla famiglia o la sua procrastinazione sine die, il ricorso a tutto quello che deresponsabilizza incoraggiando ad un edonismo disperato e sterile.
Siamo pertanto convinti che l’utilizzo massimo delle risorse intellettuali e materiali di cui il Paese ancora dispone (ma per quanto tempo ancora) non possa attuarsi senza una diversa concezione dei rapporti di produzione, riequilibrandoli a favore dei lavoratori, che liberati dall’ansia che li attanaglia, potrebbero sviluppare al meglio quelle doti di creatività, inventiva e capacità di sacrificio che hanno fatto dell’Italia (in tempi ormai trascorsi ma non lontani invero) un esempio di sviluppo e sforzo coeso che ha dato risultati straordinari.
L’evasione fiscale, insieme alle criminalità organizzate sono il vero cancro morale ed economico che proietta sinistramente le sue metastasi in quasi tutti i settori produttivi. Oltre a quelli la fatiscenza strutturale della pubblica amministrazione implementa una drammatica inefficenza che incide pesantemente sulla vita di ognuno di noi.
Anni e anni di riforma burocratica hanno sortito miseri effetti sul macrosistema.
Se infatti l’autocertificazione ha eliminato qualche coda negli uffici pubblici, è piuttosto nell’assegnazione degli appalti, nella lentezza mortale tra la decisione politica e la realizzazione delle opere che insiste un’abnorme levitazione dei costi, senza contare l’assenza, o almeno la scarsità, dei controlli sulle realizzazioni che ci ha regalato ospedali mai entrati in servizio, strade costate milioni e milioni che finiscono nel nulla, termovalorizzatori che sono cattedrali nel deserto mentre la monnezzaammorba le città del Sud.
Pertanto, ci sembra evidente che lo strumento fiscale adeguatamente ed equamente utilizzato e una VERA riforma della pubblica amministrazione siano quelli che maggiormente potrebbero contribuire ad un vero New Deal italiano che ridarebbe speranza e forza vitale al Paese, incidendo sui privilegi e sulla malversazioni.
La fuga dei cervelli di cui tanto si parla, è ormai un torrente in piena, di migliaia e migliaia di giovani, preparati e volitivi a cui sembra di non avere nessuna chance in Italia.
Questa risorsa è tanto più preziosa, se consideriamo che la disparità dei costi della vita hanno messo alcune economie orientali (Cina e India segnatamente, ma non solo) nella condizione di essere impareggiabilmente concorrenziali nelle produzioni di basso o medio tenore tecnologico.
La Germania, che se ne uscì dalla II guerra mondiale con immani distruzioni, ha creato un’amministrazione pubblica rigorosa ed efficiente che dialoga con il sistema produttivo e non lo vessa, premia le aziende che investono sull’innovazione e non ha perso la sua rincorsa uscendo per prima dalla crisi nonostante il pesante fardello che si è sobbarcata sostenendo le economie deboli della UE.
Se possiamo costruire automobili come loro e le nostre aziende si aggiudicano importantissimi appalti nel mondo intero, cosa c’impedisce di mutuare il suo esempio virtuoso e le sue buone pratiche amministrative?
Certamente tutto questo avrebbe costi e sarebbero necessari adeguati interventi ed ammortizzatori attivi, ma sarebbe l’ora che non fossero sempre i più deboli a sopportarne il peso. Va da se che nella piramide sociale la parte più ampia è quella sottostante, ma la disattenzione alle sofferenze di questa base rischia di causare un crollo dell’intera figura, con conseguenze inimmaginabili nella loro gravità.
Giovani, immigrati, persone a basso reddito stanno soffrendo le conseguenze di una ricetta bugiarda e ingiusta, quella proposta a suo tempo da quegli economisti chiamati i “Chicago Boys”, che teorizzavano l’assoluta preminenza del mercato e l’espulsione del pubblico dalle attività produttive sostenendo che il mercato avrebbe risolto tutto, riequilibrandosi dopo una fase critica e continuando a garantire a tutti merci e servizi in abbondanza e democrazia politica.
Non si tratta quindi a nostro avviso di applicare correttivi od escamotages finanziari ad una logica fallimentare, ma di avviare un processo di moralizzazione della produzione e della pubblica amministrazione, di costruire speranze e sostenerle, di ridare a questo nostro Paese e ai nostri figli una prospettiva credibile di benessere e libertà
Noi musulmani siamo pronti a fare la nostra parte, coraggiosamente e fattivamente, insieme a tutti gli altri, in sforzo coerente e coeso nell’interesse del bene comune.
0 commenti: (+add yours?)
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.