L'inesplicabile reticenza italiana ad applicare i principi costituzionali ai musulmani
di Layla MohamedDal punto di vista giuridico, è acclarata la tendenza, in dottrina, a considerare la libertà religiosa come privilegiata tra tutte le altre costituzionalmente riconosciute e garantite, in quanto riflesso della libertà di coscienza, che sta a fondamento della dignità umana.
In Italia, i Padri Costituenti vollero assicurare il rispetto della libertà religiosa, con una formula che «non potrebbe essere più ampia»1, alla lettera dell' 19 Cost., attraverso cui la Repubblica garantisce a tutti il diritto di «professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto». Un solo limite è previsto e concerne, non i principi, ma i riti: il buon costume. Esso, secondo la giurisprudenza, va intenso nella sua accezione penalistica come «l'atteggiamento del cittadino comune, mediato dalla sensibilità del giudice, nei confronti del sentimento del pudore».2
Inoltre, la Corte Costituzionale, alla sentenza 203/1989, ha dichiarato di accogliere una prospettiva di “laicità positiva”, intendendo così una valutazione favorevole del fenomeno religioso, cui consegue l'ammissibilità di interventi da parte dello Stato a sostegno delle attività religiose, considerate come interesse dei cittadini meritevole di tutela giuridica. Tanto che, continua la Corte, il principio di laicità «implica, non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale».
Sicuramente, dunque, non è stata la convinzione profonda della necessità di tutelare un diritto costituzionalmente sancito a spingere l'Assessore al Territorio e Urbanistica, Daniele Belotti, a promuovere una norma nel Collegato ordinamentale, da poco approvato dal Consiglio regionale della Lombardia, con lo specifico «obiettivo di mettere un freno al fenomeno del proliferare dei luoghi di culto mascherati da centri culturali e di tutelare l’identità dei centri storici delle nostre città»3. Pare, in breve, che vi saranno procedure più complicate per l'apertura delle sedi di associazioni che si richiamano ad una confessione religiosa, in quanto esse veranno equiparate a luoghi adibiti al culto e perciò sottoposte a una disciplina più restrittiva. Inutile dire che un tale intervento legislativo ha come destinatari preferenziali i fedeli musulmani residenti nella città di Milano.
Al di là delle considerazioni che possono essere sviluppate circa la costituzionalità di una simile norma, che risulta porsi in netto contrasto con l'art. 20 Cost., si può rilevare, in questa sede, come la garanzia della libertà religiosa (che, nelle forme di individuale, associata e organizzata, è stata annoverata dalla Corte Costituzionale tra i diritti inviolabili dell'uomo)4, relativamente ai musulmani è considerata, in Italia, alla stregua di una mera questione amministrativa di ordine pubblico o di viabilità.
Nel nostro Paese, infatti, il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà di culto e all'esercizio in forma associata della propria confessione da parte dei musulmani, cittadini italiani e non, appare subordinato alle esigenze della prassi urbanistica a livello locale e a più generici “motivi di sicurezza”, che finiscono per annichilirne inevitabilmente il contenuto sostanziale.
A questo riguardo, un importante giurista, Carlo Cardia, ha sottolineato come non vi sia dubbio «che il Costituente ha voluto espressamente escludere dai limiti alla libertà religiosa quello dell’ordine pubblico e l’ha fatto proprio per impedire che per suo tramite si finisse col vietare, o limitare discrezionalmente, l’attività di alcune confessioni religiose (come era avvenuto nel passato regime) sol perché queste non erano in sintonia con il clima politico del momento»5 .
È possibile, di conseguenza, affermare, attraverso le parole di Stefano Allievi, che esiste, oggi in Italia, una «tendenza all'eccezionalismo islamico, ovvero a considerare i musulmani sempre diversi dagli altri, sempre un caso eccezionale». 6
Breve bibliografia:
- Casuscelli G., “La libertà religiosa alla prova dell’Islām: la peste dell’intolleranza”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale - Rivista telematica , Luglio 2008
- Ronchi P., “Problemi pratici della libertà religiosa dei musulmani in Italia, Spagna e Regno Unito”, versione 5-07-2010, in corso di pubblicazione/forthcoming in Anuario de derecho eclesiàstico del Estado, 2011
1 Corte Costituzionale, sent. 195/ 1993
2 Colaianni N., “Musulmani italiani e Costituzione: il caso della Consulta islamica”, Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2006, p. 257
3 Rossi S., “Giro di vite sui centri islamici «Basta moschee nei capannoni»”, La Repubblica, Milano.it, 15-02- 2011
4 Corte Costituzionale, sent. 143/1973
5 Cardia C., voce Religione (libertà di), in Enc. dir., Aggiornamento, II; Giuffrè, Milano, 1998, p. 932
6 Allievi S., “Islam italiano e società nazionale”, cit, p. 67
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