Negli occhi dei giovani egiziani brillava da anni la voglia di ribellione

di Paolo Gonzaga


Il movimento che sta rivoltandosi in Egitto è il popolo intero, stremato economicamente, ricordo bene che ogni anno, quando in estate tornavo in Egitto, l'argomento principale di conversazione era l'aumento perenne dei prezzi e lo stallo degli stipendi , mentre per i giovani, solo disoccupazione. Un paese sotto una dittatura che ha viziato ogni aspetto della vita civile, sottoponendo i suoi cittadini a continue umiliazioni quotidiane, dalle prepotenze dei poliziotti, alle torture per chiunque venisse per sventura preso di mira da un membro dell'enorme apparato poliziesco, questo nella vita di tutti i giorni del cittadino qualunque, per non parlare poi degli oppositori politici, di qualsiasi tendenza.
Un apparato poliziesco consistente in circa 2 milioni di persone raggruppate in varie forme di Polizia ,l'Esercito a parte, 2 milioni su 80 milioni di abitanti con una percentuale di circa 1 poliziotto ogni 40 persone. Un paese dove una gang poliziesco-affaristica, il partito di Mubarak e i vari tycoon che vi ruotavano attorno, o ne facevano parte, faceva il bello e il cattivo tempo, taglieggiando le imprese che non appartenevano direttamente alla banda, spezzando le gambe a qualsiasi tentativo di sperare in una vita senza continue raccomandazioni e tangenti o erogazioni più o meno esplicite in ogni tipo di ambiente, per ogni tipo di lavoro, mansione, operazione burocratica, in una paese dalla burocrazia kafkiana. Il parcheggio, la spesa e perfino per il posto da accattone, tutto regolato da una rigida legge del "taglieggiamento collettivo".


Un paese giovane, dove il 75% della popolazione ha meno di 25 anni ed è molto più letterato di tante gioventù nel mondo, che è connesso, anche i giovani dei quartieri più popolari, dove tutto sembra stare in piedi per miracolo, palazzi, strade e persone, si collegano facendo la fila in "sgarruppati" internet point o si dotano dei cellulari ultimo modello con clonazioni fantastiche che solo in Egitto ho visto fare. Padroneggiano e usano i social media, ovunque le strade sono costellate di internet point, e le case ormai dotate del wireless. Vi sono giovani connessi nell'ampia zona che possiamo considerare "Centro" del Cairo, "wast el balad", nei quartieri medio-borghesi a tratti popolari è una caratteristica del Cairo l'esistenza di zone borghesi, con accanto quartieri di baracche. I giovani si connettono a El Mohandessin, El Doqqi, El Aguza, e poi nel mare del nord della grande Cairo, a Heliopolis, con il suo lusso e le sue miserie, a Madinat al Nasr, immenso quartiere incolore dove abitano milioni di persone, città nella città, generalmente della borghesia statale e ovviamente nel'isola di Zamalek, l'elegante isola rifugio degli italiani delle ambasciate, consolati, grandi compagnie, così come nelle ultra popolari Imbaba, Bulaq Dakrur, 'Omraniyya, Bulaq Abu Leila, Sayyda Zeinab, proseguendo per le sterminate periferie urbane, ovunque l'Egitto è connesso.   



Nei continui villaggi alternati a immensi conglomerati urbani che costeggiano il Nilo come Bani Suef, El Minia, El Asyut, Sohag, Qena, fino ad Assuan, passando per l'immensa campagna degli enormi distretti di Sharqiyya e Gharbiyya milioni di giovani sognano un'altra vita. In un paese dove i laureati sono milioni, dove in poche generazioni si è passati dall'analfabetismo all'alfabetizzazione di massa e alla digitalizzazione diffusa, in un'epoca in cui la Tv satellitare Al Jazeera viene guardata da milioni di giovani arabi provenienti da ogni paese, e le serie Tv anche del genere più leggero hanno sempre uno sfondo sociale, dove milioni di giovani più o meno colti, si trovano senza un futuro che non sia l'umiliante elemosina continua della ricerca di qualche conoscenza per poter ovviare a qualsiasi aspetto della propria vita. 



Senza speranza di un futuro già misero e gramo dei genitori, che hanno da perdere questi ragazzi e queste ragazze? Non ci piace fare la parte dei grilli parlanti e dire “l’avevo detto”, ma era ovvio a mio avviso che si aspettasse solo la scintilla perché tutto esplodesse. Andavo ripetendo da qualche anno ormai che non capivo come il popolo non esplodesse e che secondo me se insistevano troppo con queste politiche che stavano facendo arricchire sempre più una casta di criminali, prima o poi la gente non l'avrebbe più sopportato. Ricordo l'ironia dei parenti, degli amici, quando lo dicevo nei lunghi pranzi infiniti sulla spiaggia popolare di Port Said, con la famiglia allargata, o nelle serate al Cairo al bar degli artisti musicisti, degli "alternativi", e dei filosofi, ora sono fiero di saperli tutti impegnati a fare la rivoluzione. Le vaghe speranze al "baretto" tra Tala'at Harb e Champollion per chi conosce il Cairo, o la quasi rassegnazione nelle chiacchierate alla caffetteria di wast el balad o in quelle dell'Hussein fino a sera tarda con il popolo egiziano bevendo svariati "shayy" (il thé). Lo dicevo nelle cene degli expat, come si fanno chiamare quella specie di neo-colonialisti di cui pullula l'Egitto, alle feste a cui a volte ho dovuto soccombere e annegare la mia disperazione politico-sociale nel dovermi confrontare con tanta gente simile 



Ma pochi erano d'accordo, pochi visionari, gli stranieri, gli italiani in particolare nei loro pregiudizi inconsapevoli, a volte pretendendo di fare i "radical-chic", più spesso con analisi da ignoranti quali sono la maggior parte degli italiani miei connazionali in Egitto, mi bollavano come il solito "sinistroide" che vede possibili rivolte ovunque. Pensavano che il popolo egiziano non avrebbe mai osato ribellarsi perché "pigro di natura", nella loro visione superficiale e ottusa "instupidito dalla religione" , inconsapevoli che anche grazie a quel forte senso di spiritualità diffuso tra il popolo egiziano, potevano vivere così bene in quel paese, e non comprendevano nulla, chiusi nella loro bolla, che già la sola barriera linguistica contribuiva a stabilire. 


Gli egiziani pure in molti sembravano non credermi, scettici anch'essi sulle doti della loro gioventù, troppo presi dai tripli e quadrupli lavori per portare da mangiare a casa e troppo abituati a una vita di dittature, ma io speravo, avevo visto come con tanti giovani potevo parlare del "Principe" di Machiavelli, della letteratura della Resistenza italiana al fascismo, dei canti eroici dei partigiani e delle loro gesta e avevo visto nei loro occhi l'orgoglio di chi pensa che è un onore per un popolo riscattarsi dalla dittatura tramite la ribellione. Ora per fortuna i fatti mi stanno dando ragione, chi mi conosce sa che è tanto che dico queste cose, e per ricordare come sia unito il popolo egiziano a dispetto delle campane mass-mediatiche che difendono lo status-quo, dedicando pagine a un inesistente pericolo che sarebbe rappresentato dai Fratelli Musulmani, voglio riportare le parole di una persona a cui ci sentiamo molto affini e che ha davvero il polso della protesta George Ishak. Cristiano, tra i primi fondatori del movimento "Kifaya" , che dice all'Unità del 7 febbraio: "La protesta popolare è la nostra forza e la protesta si è sempre più allargata unendo la società egiziana. in piazza ci sono giovani e anziani, i diseredati delle periferie e la classe media, musulmani e cristiani". Alla domanda di rito dell'intervistatore: "C'è chi teme che la rivolta apra la strada ai Fratelli Musulmani", George Ishak risponde: "I Fratelli Musulmani non sono un corpo estraneo alla società egiziana, ne fanno parte, ne rappresentano istanze e aspettative. Ma non sono la maggioranza, questo è certo. In elezioni libere potrebbero raggiungere il 20-25% dei consensi. Coinvolgerli pienamente nel processo democratico è un fatto positivo." E sono gli stessi "Fratelli Musulmani" in realtà ad essere rimasti sorpresi dall'ampiezza e dalla popolarità di questa protesta nata da giovani, che ha spiazzato tutti i partiti e i movimenti tradizionali, costringendoli ad emergere e che ora è riuscito a creare una composita alleanza provvisoria tra tutte le opposizioni, vecchie e nuove, delegata alle trattative con quel che resta del regime, ma soprattutto che si è data un imperativo inderogabile, oltre che di una piattaforma. ma l'imperativo è: Via il regime, prima di tutto!

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